Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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Il risarcimento del danno da mancata frequentazione (di Marco Rizzuti, Ricercatore di Diritto privato – Università degli Studi di Firenze)


Il contributo prende spunto dalla recente giurisprudenza in punto di risarcimento del danno da mancata frequentazione nelle situazioni di crisi familiare, al fine di evidenziare il profondo mutamento cui il nostro sistema ordinamentale è andato incontro, sia per quanto riguarda le funzioni della responsabilità civile sia per quanto attiene all’assetto delle relazioni familiari.

This article starts from the recent case law on compensating the damage caused by absence during situations of family crisis, to highlight the profound change that our legal system has undergone both as regards the functions of civic responsibility and as pertains to the configuration of family relationships.

Keywords: custodial parent co-parenting maintenance obligation.

Un’analisi della recente elaborazione giurisprudenziale in tema di danno da mancata frequentazione risulta estremamente significativa di quanto profondamente si siano trasformati sia il diritto delle relazioni familiari sia quello della responsabilità civile, se messi a confronto con i paradigmi dominanti nel recente passato. Scorrendo infatti le vicende giudiziarie, ci imbattiamo sempre più spesso in pronunzie in base alle quali, in contesti di crisi familiare, poco importa se derivanti dal fallimento di un matrimonio o di una diversa ipotesi di convivenza, il genitore cosiddetto collocatario prevalente della prole viene condannato a risarcire il danno arrecato all’altro genitore o anche al figlio stesso per aver posto in essere condotte ostruzionistiche o di condizionamento psicologiche intese ad ostacolare il corretto svolgimento delle modalità di affidamento del minore [1]. A livello casistico, nella gran parte delle ipotesi il genitore condannato è la madre, ma evidentemente ciò dipende dal fatto, ben noto, che l’affidamento, dichiaratamente condiviso [2], nel nostro diritto vivente tende assai spesso a riprodurre per il tramite dell’istituto preterlegale della collocazione prevalente una tralatizia preferenza per l’affidamento materno [3], per cui ad avere la possibilità materiale di porre in essere siffatte condotte non potrà che essere per l’appunto la genitrice. Da questo punto di vista, il problema si riconnette a quello più generale della scarsa tutela offerta nella sostanza dal nostro ordinamento al diritto del genitore non collocatario ad una effettiva cogenitorialità, e quindi a quello del minore ad una effettiva bigenitorialità [4], tanto da determinare l’insorgere di un diverso tipo di responsabilità, dello Stato in sede EDU [5], ma non è su questo profilo che ci vogliamo adesso intrattenere. Nemmeno ci interessa più di tanto addentrarci nel dibattito tra i cultori delle scienze mediche e psicologiche circa la dubbia sussumibilità di alcune delle vicende in discorso nella fattispecie della cosiddetta sindrome di alienazione parentale, in quanto a prescindere da una eventuale, ed assai incerta, loro qualificazione extragiuridica in tal senso [6], resta il dato della illiceità ai fini che più ci riguardano delle condotte genitoriali che tali vicende hanno determinato. La nostra riflessione mira invece soltanto ad appuntarsi sulla rilevanza sistematica di questa giurisprudenza in quanto manifestazione di importanti sviluppi evolutivi ordinamentali. Invero, a fronte di una fattispecie in cui il figlio ottiene la condanna della madre a risarcire il danno che ella ha cagionato impedendogli di frequentare il padre, risulta difficile non prendere atto di quanto profondamente siano cambiati gli assetti del diritto familiare rispetto ai tempi in cui una [continua..]