Rivista AIAF - Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minoriISSN 2240-7243 / EISSN 2704-6508
G. Giappichelli Editore

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L'affidamento familiare (di Marta Rovacchi, Avvocata in reggio Emilia)


 L’autrice tratta dell’istituto affidamento familiare, sia esso consensuale che disposto su ordine del giudice, la temporaneità dell’istituto e la necessità che il minore mantenga i rapporti con la famiglia di origine e al contempo la tutela degli affidatari dopo la legge sulla continuità affettiva n. 173/2015. Trattazione meditata infine sul­l’istituto previsto dall’art. 403 c.c. che consente alla Pubblica Autorità di collocare in un luogo sicuro il minore, in attesa che quest’ultimo venga messo in sicurezza, norma caratterizzata da spazi di discrezionalità estremamente ampi in capo all’autorità procedente stante la genericità della formulazione legislativa, che impone una rivisitazione per assicurare una piena tutela del contraddittorio, un penetrante controllo giudiziario e precise norme sulle singole fasi processuali.

 The author discusses foster care, both consensual and court-ordered, the temporary nature of the institution, and the need for the minor to maintain relations with the family of origin, and at the same time the protection of the caregivers after the law on continuity of affection, no. 173/2015. There are also reflections on the institution established by art. 403 of the Italian Civil Code, which allows the Public Authority to place the child in a safe location pending his or her safe placement – a regulation that gives the proceeding authority ample room for discretion given the generic nature of the legislative formulation. It requires revisitation to ensure full protection of the right to an impartial hearing, penetrating judicial monitoring, and precise rules on the individual trial phases.

Keywords: family custody – shared custody

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Caratteri generali dell’affidamento familiare - 2.1. Affidamento consensuale e affidamento giudiziale - 2.2. La temporaneità dell’affidamento - 2.3. Il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine e criticità applicative - 3. La tutela degli affidatari alla luce della legge sulla continuità affettiva l. n. 173/2015 - 4. L’intervento della pubblica autorità ex art. 403 c.c. - 4.1. Le plurime criticità dell’art. 403 c.c. - 4.2. La falla del sistema minorile e prospettive di riforma - 5. Conclusioni - NOTE


1. Introduzione

L’affidamento familiare è un istituto disciplinato compiutamente per la prima volta con la l. n. 184/1983 in materia di adozione e affidamento che, agli artt. 2 ss., delinea i tratti essenziali del­l’istituto in commento. Nel presente contributo si procederà a delineare i tratti salienti dell’istituto dell’affidamento fa­miliare, anche alla luce dei più recenti casi sottoposti alla giurisprudenza di merito e di legittimità, senza tuttavia tralasciare le varie questioni interpretative e criticità sollevate dalla vigente disciplina. Preliminarmente occorre prendere atto del radicale mutamento di prospettiva, rispetto al passato, che ha caratterizzato la disciplina in esame, oggi improntata alla tutela del minore, il c.d. best interest of the child. Grazie, infatti, all’impulso della giurisprudenza comunitaria ed anche alla luce delle modifiche apportate dalla l. n. 149/2001, il minore è oggi posto al centro del sistema normativo. Ciò è testimoniato dal dettato dell’art. 1, l. n. 184/1983 che statuisce: «il minore ha il diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia». Il minore, pertanto, non è oggetto di tutela ma soggetto che vanta diritti che l’ordinamento deve tutelare. L’istituto dell’affidamento si inserisce proprio nell’ambito degli interventi volti alla tutela del mi­nore.


2. Caratteri generali dell’affidamento familiare

L’affidamento familiare viene disposto qualora, ai sensi dell’art. 2, l. n. 184/1983, il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo alla sua crescita e al suo corretto sviluppo psico-fisico. Tale disposizione individua un ordine gerarchico tra gli affidatari e predilige le famiglie, preferibilmente con figli minori, ovvero una persona singola in grado di provvedere al mantenimento, istruzione, educazione e assicurare le relazioni affettive di cui il minore necessita [1]. Gli affidatari devono accogliere il minore e provvedere, ex art. 5, 1° comma, al suo mantenimento, educazione, istruzione (tenendo conto delle indicazioni dei genitori i quali non siano decaduti o sospesi dalla responsabilità genitoriale) [2]. Solo nel caso in cui ciò non sia possibile, il legislatore ha previsto, quale extrema ratio, l’inseri­mento in una comunità di tipo familiare. L’ordine di preferenza previsto dalla normativa evidenzia fin da subito la ratio dell’istituto, vale a dire consentire al minore una corretta crescita ed evitare ulteriori conseguenze pregiudizievoli rispetto a quelle già provocate dal distacco dal nucleo familiare d’origine. Lo scopo dell’affidamento è, quindi, quello di provvedere a fornire al minore un ambiente sereno in cui crescere e, parimenti, consentire alla famiglia di origine di supplire a una crisi, a una difficoltà momentanea, per poter riprendere e proseguire il proprio ruolo educativo genitoriale. L’istituto in esame non è stato concepito in un’ottica afflittiva nei confronti dei genitori, bensì, al contrario, fonda la propria ratio nel sostegno al nucleo familiare onde consentire allo stesso di svolgere al meglio il proprio ruolo educativo nel perseguimento dell’interesse e del benessere del minore. Prima, infatti, di procedere all’affidamento, gli enti locali “dovrebbero” promuovere interventi di aiuto e sostegno ai nuclei familiari in difficoltà al fine di prevenire l’abbandono del minore e consentire a quest’ultimo di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. Occorre infatti evidenziare che, anche alla luce della più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’allontanamento di un minore dai suoi genitori costituisce un’inter­ferenza molto [continua ..]


2.1. Affidamento consensuale e affidamento giudiziale

A seconda che vi sia o meno il consenso dei genitori, di colui che esercita la responsabilità genitoriale ovvero del tutore, l’affidamento può anche essere consensuale. In questa ipotesi si assiste all’incontro di due accordi, separati ed autonomi, il cui vertice è costituito dall’ente locale (Servizi Sociali procedenti) e non, come sostenuto da dottrina risalente, da un patto trilatero. Da un lato, infatti, vi è l’incontro di volontà tra Servizi Sociali e i genitori del minore e, dall’altro, tra gli stessi Servizi e gli affidatari. Secondo quanto si evince dall’art. 4, 1° comma, l. n. 184/1983, l’affidamento consensuale viene disposto, dai servizi sociali competenti, provvedendo, poi, il giudice tutelare del luogo in cui si trova il minore a rendere esecutivo il provvedimento. La dottrina si è a lungo interrogata rispetto al ruolo del giudice tutelare che, secondo il dettato normativo, “rende esecutivo il provvedimento”. Una parte degli Autori interpreta, infatti, la disposizione nel senso di attribuire al giudice tutelare un controllo non solo formale bensì un accertamento nel merito volto a verificare l’idoneità dei soggetti affidatari scelti nonché la sussistenza di una situazione di fatto che necessiti l’allontanamento del minore dalla famiglia. La dottrina maggioritaria, invece, propende per la soluzione esegetica opposta, ritenendo che il giudice tutelare svolga un controllo di mera legittimità, vale a dire che l’organo giurisdizionale sia chiamato a verificare l’esistenza del consenso dei genitori e degli affidatari, che il minore ultra dodicenne sia stato sentito e che sussistano i requisiti di cui al 3° comma, art. 4, l. n. 184/1983. Pertanto, secondo tale orientamento, che opta per un’interpretazione strettamente letterale del dettato normativo, il giudice tutelare non potrebbe rifiutarsi di adottare il decreto di esecutività poiché finirebbe per sostituirsi alle scelte di merito già concordate dalla famiglia di origine e dai Servizi Sociali. È noto che la tipologia di affidamento più frequente è quella giudiziale, ovvero disposta dal Tribunale per i minorenni del capoluogo competente, su segnalazione dei Servizi Sociali, e che provvederà a disporre l’affidamento nonostante il dissenso manifestato dai genitori, adottando i [continua ..]


2.2. La temporaneità dell’affidamento

Carattere imprescindibile dell’affidamento è la temporaneità, ovvero, in base ad un giudizio pro­gnostico, la situazione di difficoltà e criticità in cui versa il nucleo familiare deve essere considerata superabile anche alla luce degli interventi a favore del nucleo familiare posti in essere dal Servizio Sociale [5]. Diversamente, ove si dovesse ritenere che tale inadeguatezza del nucleo sia definitiva e non reversibile, dando luogo quindi allo stato di abbandono, si dovrà ricorrere all’istituto dell’adozio­ne e alla conseguente declaratoria di adottabilità del minore [6]. Il carattere transitorio e temporaneo dell’affidamento è un elemento imprescindibile della previsione legislativa che impone di individuare la durata dell’affidamento non superiore ai 24 mesi. Laddove, trascorso detto periodo, la sospensione e l’interruzione dell’affidamento si rivelasse pregiudizievole per il minore, la durata è prorogabile dal Tribunale per i minorenni ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, 4° comma, l. n. 184/1983 [7]. È importante evidenziare che la proroga dell’affidamento non potrà esser disposta sulla base della sola circostanza delle condizioni di maggiore comodità e agiatezza in cui il minore versa presso gli affidatari. La situazione di “abbandono e/o pregiudizio” rilevante per l’affidamento non può pertanto essere valutata alla stregua di un giudizio comparativo di carattere oggettivo tra la condizione del minore presso gli affidatari e quella offerta dalla famiglia di origine. La ratio della temporaneità dell’istituto, è proprio da ricercarsi nella natura del provvedimento dispositivo: poiché, infatti, trattasi di provvedimento da ritenersi assunto rebus sic stantibus, lo stesso cesserà, ex art. 4, 5° comma, ove sia raggiunto lo scopo dell’affidamento con la conseguente possibilità della famiglia naturale di accogliere nuovamente il figlio. Ed è per questo ed a tale fine che i Servizi Sociali sono tenuti a controllare periodicamente la si­tuazione del minore e del nucleo familiare ed provvedere ad informare ed aggiornare il giudice competente al fine di valutare il rientro del minore nella sua famiglia. Il compito dei Servizi Sociali in questo percorso, teso a [continua ..]


2.3. Il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine e criticità applicative

Pare opportuno ribadire che il legislatore ha espressamente previsto che i Servizi Sociali, in aggiunta agli interventi di sostegno sociale alla famiglia, devono consentire il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine in conformità con la ratio dell’affidamento che, si ribadisce, non è sanzionatoria né finalizzata alla ricerca di un nuovo nucleo familiare che sostituisca il precedente, bensì è volta a offrire al minore un ambiente familiare temporaneo in cui crescere ed essere educato in attesa del suo rientro in famiglia. Pertanto, scevri da qualsiasi logica di distacco, i Servizi Sociali devono consentire e agevolare il mantenimento di tutti i rapporti affettivi che hanno caratterizzato la vita del minore fino a quel momento e, pertanto, dovranno disporne l’interruzione unicamente nel caso in cui tali rapporti si rivelino definitivamente dannosi e pregiudizievoli per il minore. La criticità di tale disposizione risiede nella discrezionalità degli operatori e degli assistenti sociali rispetto alla valutazione del possibile pregiudizio derivante in capo al minore dall’interru­zione degli incontri con i familiari. Se, infatti, si considera che il decreto con il quale il Tribunale per i minorenni dispone l’affi­damento delega i Servizi Sociali competenti a redigere un programma di incontri con i familiari avendo riguardo all’esclusivo interesse del minore ed autorizza il Servizio a sospendere tali visite ove dovessero risultare pregiudizievoli per il minore, ne consegue che rimane nella totale discrezionalità degli operatori sociali la valutazione delle eventuali tempistiche e modalità degli incontri e della opportunità o meno di sospendere i rapporti del minore con i propri familiari. In buona sostanza, essendo pressoché impossibile che si verifichi da parte dell’Autorità Giudiziaria un controllo ed una verifica concreta della sussistenza effettiva del pregiudizio rappresentatole dagli operatori, la possibilità per i familiari di mantenere e coltivare i rapporti con il minore viene a dipendere unicamente dalle valutazioni dei Servizi Sociali. È indubbio, quindi, che, in tal caso, il diritto dei familiari e, soprattutto, il diritto fondamentale del minore vengono ad essere di fatto regolati e/o compromessi da valutazioni demandate ad organi degli enti locali senza vigilanza alcuna da parte [continua ..]


3. La tutela degli affidatari alla luce della legge sulla continuità affettiva l. n. 173/2015

Nella mutata ottica di tutela del minore si inserisce la novella del 2015, l. n. 173/2015, che ha espressamente previsto, ex art. 4, 5° ter comma, il diritto alla continuità affettiva degli affidatari i quali, nel caso in cui il minore ritorni nella famiglia di origine ovvero sia collocato in altra famiglia affidataria, hanno il diritto di mantenere una relazione affettiva con il minore, qualora questo corrisponda anche all’interesse di quest’ultimo [8]. Emerge dal dettato normativo, quindi, la subordinazione degli interessi degli affidatari rispetto al benessere del minore [9]. Tuttavia, gli ex-affidatari che aspirino a mantenere il legame affettivo con il minore risultano privi della legittimazione ad adire l’autorità giudiziaria in via immediata e diretta [10]. Al riguardo, si evidenzia il decreto del Tribunale per i minorenni di Venezia del 29 marzo 2019 che affronta la questione concernente la posizione sostanziale e processuale degli ex-affidatari [11]. Il Tribunale in quel caso ha qualificato la domanda degli affidatari come un’azione tesa a far valere, ex art. 333 c.c., un comportamento pregiudizievole ai danni del minore ma, non essendo i ricorrenti tra i legittimati ad agire ex art. 336 c.c., ha stabilito che i ricorrenti potessero unicamente sollecitare il P.M. affinché presentasse ricorso [12]. Ovvero, nel caso in cui il minore abbia fatto rientro presso la famiglia di origine, gli affidatari, non essendo parte processuale e non disponendo pertanto di strumenti giuridici idonei per tutelare i propri diritti a mantenere un legame affettivo con il minore, si ritiene che potrebbero rivolgersi al Garante dell’Infanzia laddove ritengano che il disposto rientro del minore sia pregiudizievole al benessere ed alla crescita dello stesso. Tuttavia, non essendo il Garante per l’Infanzia è un organo giurisdizionale, è evidente che non avrà alcun potere se non quello di prendere in carico la situazione e, se del caso, segnalarla alle autorità competenti in caso di violazioni dei diritti dei minori. Parte della dottrina [13] ha evidenziato che la pretesa degli affidatari di conservare e coltivare il legame affettivo con il minore possa ricevere tutela alla luce dell’interpretazione della giurispru­denza della Corte di Strasburgo che ha attribuito rilevanza, ex art. 8 [continua ..]


4. L’intervento della pubblica autorità ex art. 403 c.c.

Da ultimo, è imprescindibile affrontare un istituto che ha ancora oggi desta molte perplessità e critiche nella dottrina più avveduta [21] e che impone, a modesto avviso di chi scrive, una rilettura complessiva del sistema degli affidi finalizzata, come di seguito verrà argomentato, ad una tanto auspicata rivisitazione del sistema minorile e delle norme processuali che lo disciplinano. L’istituto cui si fa riferimento è quello disciplinato dall’art. 403 c.c. che consente alla Pubblica Autorità di collocare in un luogo sicuro il minore, in attesa che quest’ultimo venga messo in sicurezza, quando egli «è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione di lui». Presupposto implicito di tale disposizione è l’urgenza di provvedere a mettere in una situazione di sicurezza un minore che si trova in una situazione di pericolo rispetto alla quale non sia possibile attendere il provvedimento giurisdizionale. La Pubblica Autorità a cui fa riferimento la norma è l’autorità amministrativa (l’Ente Locale ed in sua rappresentanza, i Servizi Sociali). La norma in esame, quindi, ha una funzione residuale che dovrebbe trovare applicazione nei casi espressamente menzionati dal legislatore come extrema ratio, ossia laddove vi sia un estremo pericolo cui è necessario provvedere immediatamente senza poter attendere il provvedimento del Tribunale. Una volta adottato il provvedimento ex art. 403 c.c., il Tribunale per i mi­norenni, portato immediatamente a conoscenza del provvedimento da parte del Servizio Sociale procedente, sovente ratifica tale provvedimento pronunciandosi, a seconda dei casi, ai sensi degli artt. 330, 333, 336 c.c. ovvero art. 4, l. n. 184/1983. Non si può non evidenziare che lo strumento legislativo, così come delineato nella norma, affida alla esclusiva valutazione della autorità amministrativa la scelta di procedere ex art. 403 c.c. con il connesso rischio in cui l’istituto in esame venga utilizzato in assenza dei presupposti che lo legittimerebbero. A ciò si aggiunga che tale rischio potrebbe essere evitato o risolto se l’Autorità Giudiziaria provvedesse [continua ..]


4.1. Le plurime criticità dell’art. 403 c.c.

Si tratta, a ben vedere, di una norma certamente dirompente che attribuisce alla pubblica autorità il potere di allontanare il minore dalla casa familiare e caratterizzata da spazi di discrezionalità estremamente ampi in capo all’autorità procedente stante la genericità della formulazione legislativa. Cionondimeno, la recente cronaca giudiziaria ha portato alla luce svariati casi in cui i Servizi Sociali hanno provveduto all’allontanamento di un minore ex art. 403 c.c. in assenza dei presupposti previsti dalla citata norma con enorme pregiudizio non solo del minore ma dell’intero nucleo familiare [22]. Inoltre, non sono peregrine ipotesi in cui l’allontanamento ex art. 403 c.c. si fondi sull’esclusiva segnalazione da parte dei Servizi senza alcuna istruttoria né verifica nel merito, cui segue la convalida dell’allontanamento del Tribunale in assenza di qualsiasi riscontro o verifica circa la veridicità dei fatti contestati [23]. Un caso emblematico, tragicamente non isolato, è quello di cui si è occupata la Cassazione con la sent. 16 ottobre 2015, n. 20928 in cui, a seguito di una segnalazione da parte dell’insegnante del minore (fondata su un’indagine personale della stessa), il Servizio Sociale aveva proceduto all’allontanamento della bambina ex art. 403 c.c. Il provvedimento d’urgenza, fondato esclusivamente sulla segnalazione dell’insegnante, era stato confermato il giorno successivo dal Tribunale per i minorenni senza alcuna attività istruttoria in merito. A seguito della CTU, il Tribunale aveva disposto il rientro della minore poiché nei 6 mesi di allontanamento non era emerso nulla che potesse far pensare ad eventi traumatici né ad abusi sessuali, come sospettato invece dall’insegnante. Si segnala che, nel caso si specie, i contatti tra la bambina e i genitori sono rimasti sospesi fino alla revoca dell’allontanamento, disposta 6 mesi più tardi. Si pensi, poi, anche alle diverse condanne subite dall’Italia da parte della Corte di Strasburgo per non aver preservato i legami familiari con i minori in affidamento, anche a causa del mancato controllo dei Servizi Sociali rispetto a comportamenti ostacolanti degli affidatari (23 e 24).


4.2. La falla del sistema minorile e prospettive di riforma

Quanto appena sommariamente esposto, è, a parere di chi scrive, la diretta conseguenza di una falla nel sistema processuale minorile che, sebbene affidi formalmente al Tribunale per i minorenni il controllo dell’intera procedura, sostanzialmente attribuisce ai singoli operatori dell’ente locale un’autonomia nella valutazione dei presupposti e, parallelamente, il potere di incidere nella vita e nelle situazioni familiari dei singoli nuclei, senza una adeguata istruttoria e senza il rispetto del principio del contradditorio costituzionalmente sancito. Se a ciò si aggiunge che, nella prassi, si assiste alla richiesta immediata di secretazione degli atti (nemmeno prevista legislativamente) e delle relazioni dei Servizi Sociali sulle quali si fondano le motivazioni del decreto di allontanamento ratificato dal Tribunale per i minorenni, è ancora più evidente una grave lesione del diritto di difesa da parte di chi, portante un interesse legittimo, si veda respinta la richiesta formale finalizzata all’accesso agli atti ed a conoscerne il contenuto. Quanto sistematicamente esposto, è comunque di per sé sufficiente a fare evidenziare nel processo minorile le peculiarità consistenti nella violazione del diritto di difesa ex artt. 24, 111 Cost, nonché dell’art. 7 CEDU. Si pensi, ad esempio, che gli esercenti la responsabilità genitoriale vengono a conoscenza delle motivazioni dell’allontanamento del minore solo a seguito della notifica del provvedimento del Tribunale. Invero, nell’immediatezza dell’allontanamento disposto dai Servizi Sociali, i genitori sono nella maggior parte dei casi completamente inermi ed ignari delle motivazioni e delle ragioni sottostanti l’allontanamento. Del resto, tale potere si risolve in una privazione della libertà personale del minore che viene sradicato dal suo ambiente familiare. Al riguardo, all’obbiezione di chi sostiene che il provvedimento de quo si caratterizzi per avere una finalità non afflittiva bensì protettiva, è facile replicare che, ove la valutazione dei presupposti ab origine risulti fallata, la funzione protettiva da alcuni invocata lascia il posto a una situazione assai prossima a quella che si viene a creare nell’ambito delle situazioni giuridiche soggettive oggetto di tutela costituzionale ex art. 13, 3° comma, Cost. Pertanto [continua ..]


5. Conclusioni

Alla luce di queste brevi considerazioni, si pone oltremodo necessaria una rivisitazione dei poteri e delle procedure che involgono la fase di allontanamento dei minori, assicurando una piena tutela del contraddittorio, un penetrante controllo giudiziario e, auspicabilmente, un modello di riferimento normativo che dettagliatamente regoli le singole fasi processuali in una materia così delicata come quella in oggetto. Il presente contributo, privo di qualsivoglia presunzione di completezza, è volto ad illustrare l’affidamento nel suo complesso e, in particolare, ad evidenziare come esso si atteggia nella realtà giuridica, oggi più che mai in continua evoluzione, oltre che a far soffermare i lettori sulle criticità del sistema minorile e sull’esigenza indifferibile di un suo adeguamento al dettato Costituzionale nonché ai principi riconosciuti dalle Carte internazionali, dando così voce a quella dottrina che da anni denuncia il fallimento del sistema minorile. I recenti casi di cronaca giudiziaria, al riguardo, non paiono certamente confortanti.


NOTE